Tutto
nasce nel 2009 quando con Rasta, Grisù, Sandokan e Simo decidiamo di affrontare
le gare di qualifica per poterci iscrivere all’UTMB, ovvero la Ultra Trail Du
Mont Blanc, 166 km con 9600 mt. di dislivello. Con qualche preoccupazione, mi
lascio trasportare e con 2 trail da 80 km otteniamo il punteggio necessario per
inoltrare domanda di ammissione. Sono circa 3500 a sperare nel sorteggio che
privilegerà solo 2300 partecipanti all’edizione 2010. Non siamo fortunati e
quindi avremo il diritto di esserci nell’anno successivo. Arriva il 2011 e dopo
la conferma di iscrizione, Sandokan si infortuna seriamente e abbandona l’idea
del Trail d’Oltralpe. L’obiettivo per tutti è arrivare a Chamonix e ricevere
l’applauso della piazza. Una gara simile dovrebbe essere preparata a puntino ma
le maratone primaverili e la 100 del Passatore non mi permettono uscite su
sterrato. A Giugno inizio a pensare all’UTMB programmando 3 uscite da 10 ore ed
a luglio il Trail Valdigne. Non tutto prosegue secondo le aspettative, i lunghi
non portano sensazioni buone e a Valdigne, il terrore dei fulmini, mi porta ad
abbandonare dopo 65 km. Faccio un tentativo ulteriore iscrivendomi all’Adamello
Trail di Mezzo a fine Luglio ed anche in questa occasione subisco l’onta del
ritiro al 40° per i crampi. Parto per le vacanze in Scandinavia abbastanza
preoccupato ma con la determinazione di chi comunque deve provarci, altre
occasioni non ce ne saranno. Riesco ad aggiungere un paio di allenamenti su
strada e due splendide uscite sui monti sovrastanti i fiordi Norvegesi, di cui
una di 7 ore. Nel frattempo cerco di camminare molto, praticamente tutti i
luoghi li visito senza mezzi pubblici. Al rientro, partenza immediata per
Chamonix dove inizia l’avventura UTMB, in condivisione con Simo, Grisù, Rasta,
la compagna Antonella ed il cane Nuc. Abbiamo affittato un appartamento per 10
giorni, per rilassarci e per conoscere la parte Francese del Monte Bianco.
Purtroppo non c’è connessione Internet e ne approfitto per staccare la spina
dopo oltre 5 anni di aggiornamenti giornalieri del sito fodipe. La zona è
bellissima, la compagnia ottima, le giornate baciate dal sole ci offrono il
Monte Bianco in veste spettacolare con i sentieri, curati e ben segnalati. Tre
giorni prima della gara ultimo allenamento su un tratto di 8 km che porta dai
1217 di Notre Dame de la Gorge ai 2440 di Refuge du Bonhomme. Ne esco
rinfrancato, le gambe girano, la respirazione è buona ed il morale è in
crescita. Venerdì 26 Agosto, alle ore 12,00, cerchiamo di alimentarci in modo
adeguato con una sostanziosa porzione di pasta in previsione dello start alle
18,30. Proprio mentre siamo a tavola, un sms dell’organizzazione ci informa che
la partenza è stata posticipata alle 23,30 causa maltempo. Percorso modificato
nel tratto finale, riduzione a 160 km e barriere orarie sensibilmente diminuite,
per l’arrivo di un temporale importante con freddo e nevicate in quota. Panico
totale, indecisione su ricambio da mettere nella sacca a Courmayeur e delusione
per il taglio che ridimensiona leggermente il chilometraggio. Verso le 18,30
altra abbondante porzione di pasta mentre il temporale arriva e scarica sulla
valle secchiate d’acqua, con la temperatura in calo. Ci aspettiamo un rinvio
ulteriore mentre il nervosismo sale. Alle 21,30 ci confermano l’orario mentre il
forte vento ed il temporale non tengono a diminuire. Simo punta ad una
prestazione di rilievo e si avvia solitaria in centro paese, in anticipo
rispetto al trio fò di pe, che trova verso le 23,00 la forza di uscire sotto la
pioggia. Si parte puntuali alle
23,30 e per attraversare il paese si impiegano
una decina di minuti, stretti in un cunicolo, con la gente che applaude in modo
fragoroso. Dopo un tratto di ciclabile affrontiamo la prima salita sul sentiero
di Col de Voza, tutti allineati e coperti. Ai 1666 metri della vetta il vento e
l’acqua ci
fanno capire che il pantavento, i guanti impermeabili e la giacca in
Goretex, imposti dall’organizzazione, sono strettamente necessari per affrontare
competizioni di questo tipo. Fa freddo, la pista da sci è diventata una
fanghiglia unica ed è un impresa arrivare al primo punto di controllo a Saint
Gervais. I Cancelli sono 12 e con la modifica dei tempi non permettono
distrazioni, dove possibile si deve correre, altrimenti rimani fuori. Al 35°
inizia la salita provata in allenamento, con il controllo ai 2151 mt. di La
Balme, dove iniziamo a vedere le vette imbiancate. Una abbondante minestrina ci
scalda lo stomaco ma prima di arrivare ai 2440 di Refuge de Bonhomme una bufera
di nevischio ci accoglie, quando ormai inizia ad albeggiare. Si scende
frettolosamente verso valle, su sentiero impegnativo ed a La Chapieux, una
cucina da campo sotto un tendone ci permette una breve pausa per la solita
minestrina, qualche biscotto e un rabbocco delle borracce. Questa esperienza
cerchiamo di viverla il più possibile insieme e quando ripartiamo, un punto di
controllo dello zaino verifica la presenza dei materiali e del cellulare. Rasta
nota subito la cosa e ipotizza una variazione ulteriore del percorso mentre la
pioggia finalmente ci abbandona dopo 10 ore. Si ritorna a salire ed i quasi 11
km verso Col de la Seigne ci regalano un tratto di asfalto mentre ai 2517 mt.
della vetta la neve ci avvolge sospinta dal gelido vento. Siamo ormai in
territorio Italiano e a Lac Combal, dopo 5 km di discesa, un tiepido sole rende
rilassante lo spuntino al ristoro. La vallata è splendida con il Monte Bianco a
far da guardiano e i rivoli d’acqua che riempiono i laghetti dove si specchiano
le cime imbiancate. Ci permettiamo una sosta di 20 minuti per poi affrontare i
2412 metri di Mont Favre e la successiva lunga discesa verso Courmayeur. La
temperatura è finalmente amica, apriamo le giacche per togliere l’umidità e
mentre siamo sulle prime rampe, in contemporanea squillano i cellulari. Ci
guardiamo in faccia e afferriamo subito che l’organizzazione ha preso qualche
decisione, viste le difficoltà incontrate in questi primi 60 km. Con immensa
sorpresa, il messaggio ci comunica che il percorso è stato portato a 170 km, il
dislivello positivo a 9700 metri ed il tempo massimo a 45h30’. Perdiamo la
serenità, non è possibile, son matti, vogliono fare selezione e rendere ancora
più dura la gara rispetto al percorso originale. La discesa verso Courmayeur, in
un sentiero da incubo, mi distrugge i piedi ed anche Rasta inizia a sentire le
prime vesciche. Chi sta meglio è Grisù che avvantaggiandosi di qualche minuto ha
più tempo per alimentarsi e non sentire la pressione dei cancelli orari. Il
palazzetto di Courmayeur è stracolmo di atleti e ritirata la sacca ricambio, ci
permettiamo un’oretta di sosta. Io non penso a mangiare, mi sistemo con cura i
piedi, cambio calzini ed indumenti e ingurgito qualcosa frettolosamente.
Incolonnati e trainati da Grisù ritroviamo quota 1949 al rifugio Bertone che
purtroppo ci riporta il freddo e la necessità di giacca e pantavento. Il
tramonto sul Bianco ci ricorda che si sta avvicinando la seconda nottata e il
ritmo ormai consolidato, ci tiene costantemente sulle spine
per i passaggi ai
vari cancelli. Molti sono già fuori gara, non han superato le barriere orarie e
il rischio di chi ancora macina km è di vedersi estromessi per una crisi di
sonno. Arriviamo al Rifugio Bonatti con il buio e ci aspetta la discesa verso
Arnuva, che consideriamo tranquilla e quindi facilmente raggiungibile. Un
sentiero tortuoso, con saliscendi fuori luogo e senza senso ci mette apprensione
e ci porta al limite al ristoro. Pensavamo di avere un piccolo vantaggio e
mangiare qualcosa, invece siam costretti a proseguire in fretta verso Gran Col
Ferret, dove ci avvertono delle difficoltà a cui andremo incontro. Un gran vento
in quota spaventa gli organizzatori, che controllano il vestiario e consigliano
assolutamente di coprirsi. Come usciamo dal tendone, lo stretto sentiero ci
indirizza verso la parte esposta al vento e vediamo in alto, lontanissimo, un
bagliore che mette l’aureola alla vetta. Dobbiamo scalare 5,5 km di ripidissima
montagna, sbattuti da un vento micidiale, per arrivare ai 2530 mt. in territorio
Svizzero. Ci mettiamo 2 ore, pesantissime e freddissime, con le forze ormai al
lumicino e tanti momenti di sconforto. Finalmente il passo mette la parola fine
alle apprensioni e la discesa sembra rinvigorire gli animi. Grisù è leggermente
avanti, Rasta è a vista d’occhio e quando lo raggiungo, lo vedo assonnato. Ci
buttiamo sull’erba a dormine 10 minuti, mi dice? No, guai, siamo a rischio col
cancello di La Fouly e adesso che abbiam raggiunto i 100 km non possiamo
permetterci di rischiare. Fortunatamente le motivazioni ci vengono in soccorso e
ci danno la sveglia per affrontare i 10 km verso il paesino semi deserto. Lo
raggiungiamo alle 3 di notte ed abbiamo solo 30 minuti per uscire prima della
chiusura del cancello. Io e Grisù mangiamo qualcosa, Rasta appoggia la testa sul
tavolo cercando un attimo di sonno. Non servirà a niente, le lancette corrono
come il vento e al limite delle 3,30 ci obbligano a uscire e passare sul tappeto
cronometrico. Ci viene in aiuto un tratto pianeggiante nei boschi che favorisce
il passo e che ci presenta quella che sarà la scena fino all’alba. Gente
stremata, si accascia in mezzo al sentiero o al riparo sotto qualche albero e
spera in un recupero immediato, che purtroppo non per tutti ci sarà. Sono sempre
di più quelli che non oltrepassano i cancelli, ormai siamo sulle gambe da 28 ore
e vicini ai 115 km, nessuno di noi 3 ha chiuso occhio e cominciamo a
sfilacciarci, a non parlare. Per un’ora mi ritrovo da solo nel buio pesto del
bosco e prendo parecchi spaventi per chi dorme con la pila spenta, buttato
nell’erba come un sacco di patate. Un bel filare di alberi crea una scena da
film, il buio mostra in lontananza la figura di una persona che agita i
bastoncini e sembra dire “ non mollare”. Sono tranquillo, non sono in crisi, mi
sto solo rilassando i muscoli dopo le sfuriate per arrivare ai controlli. Piano
piano la figura si avvicina e quando sono a una ventina di metri mi accorgo che
è un albero mosso ritmicamente dal vento. E’ una allucinazione, la mancanza di
sonno da ormai 40 ore inizia a generare fenomeni visivi inesistenti,
successivamente vedrò un cane, un gatto e una donna su una panchina che legge il
giornale. Il chiaro risistema tutto e a Champex Lac, il ricongiungimento con
i
compagni fò di pe porta tutto alla normalità, anche se una grossa risata me la
son fatta quando, in un tratto prima del paese, delle statue di legno nel bosco
mi avevano spaventato, ma queste erano vere.
Solito frettoloso ristoro,
minestrina e via per la discesa spacca piedi verso Martigny dove Io e Rasta
arriviamo con forti dolori e vesciche. Il sole mattutino di questo angolo di
Svizzera ci consiglia di abbandonare definitivamente la giacca e i pantavento e
metterci il nostro verdeggiante smanicato. Grisù saluta la compagnia nella
successiva salita e cerca un finale meno teso con tempi ai ristori accettabili.
Alle prese con i problemi ai piedi, Rasta stringe i denti e affronta le discese
corricchiando, Io sto leggermente meglio, il fuoco lo sento ma riesco perlomeno
a correre. Adesso il caldo è diventato soffocante, siamo al 140° km e le gambe
stanno bene, ci aspetta un’altra salita vertiginosa verso Trient dove arriviamo
a pelo, spaventati per la paura di rimaner fuori. Passiamo velocemente il
controllo, 5 minuti per ristorarci e via verso gli oltre 2000 mt, della vetta
che ci riporta in territorio Francese. Anche su questo tratto di salita in molto
si accasciano e chiudono gli occhi, noi abbiamo ormai un solo obiettivo,
proseguire fino al traguardo senza più fermarci. La discesa verso Vallorcine è
forse la parte più dolorosa, si deve per forza correrla, anche se i piedi ormai
sono un’esplosione di vesciche. Siamo a 15 km da Chamonix, ci manca solo un
controllo orario, al 163° e poi è fatta. Lo passiamo con un anticipo di quasi
un’ora e ci scappa la risata con una signora giudice che ci conferma che si può
essere fermati anche qui, dopo oltre 40 ore e a 7 km dalla fine. Non per niente
al traguardo arriveranno solo in 1130 a fronte dei quasi 2300 partenti. Ci
dicono che l’ultimo tratto è una ciclabile e l’euforia ci porta a chiamare
Antonella e dire che in meno di 60 minuti saremo in piazza. Nel frattempo
apprendiamo del grande risultato di Super Simo, 120^ assoluta, 1^ di categoria
con l’incredibile tempo di 34h04’20’’. Ci emozioniamo e come molle iniziamo a
correre ma incredibilmente il sentiero si inerpica sulla montagna e iniziamo a
inveire sull’organizzazione che non può arrivare a tanto. Ma ci pensano a chi
corre nelle retrovie, con i piedi maciullati? Io e Rasta siamo ancora fortunati,
troviamo gente che cammina piegata su un lato, che non riesce ad appoggiare i
piedi sui sassi appuntiti di questo assurdo sentiero. Questo ultimo tratto è
devastante, non riusciamo quasi mai a correre, il fondo non ce lo permette, la
stanchezza delle 44 ore riporta ancora le allucinazioni. Rasta vede animali e
case in un fittissimo sottobosco, io
ritrovo figure umane, vedo Nuc e poi un
signore. Finalmente sentiamo il vociare del paese, il tormentoso sentiero
termina e lascia il posto all’asfalto, ci indirizzano verso le vie centrali, la
gente ci chiama “ Super”, noi agitiamo i bastoncini, ricambiamo, un pensiero va
a Sandokan, ci sarebbe stato anche lui con noi. Incontriamo Grisù che ha
terminato in 43h21’15’’, bravissimo, Simo agita la campana, Antonella,
emozionata si trasforma in fotografa, mancano 300 metri, siamo tra due ali di
folla, lo speaker ci accoglie, siamo i padroni per 10 secondi di questo angolo
di Chamonix. Tagliamo il traguardo ancora con i bastoncini verso il cielo e con
il cuore gonfio, ci abbracciamo subito dopo la linea, le lacrime liberano
l’emozione, è finita in 44h19’22’’, questa pazza avventura attraverso 3 stati,
ce la ricorderemo, per sempre.
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